Recensione di Alice in Borderland

Alice in Borderland è una serie fantastica diretta da Shinsuke Sato, basata sull’omonimo manga scritto e disegnato da Haro Asō. La serie racconta le vicende di Arisu, un ragazzo insoddisfatto della sua vita e dei suoi amici che si ritrovano improvvisamente nella loro città, ma senza i suoi abitanti. Dopo un primo momento di euforia, scoprono che in questa realtà è necessario superare dei giochi cruenti e difficili, dove la posta in gioco è proprio la loro vita. Non è il genere di serie che amo guardare, poiché eccessivamente violento e splatter; tuttavia, mi ha sorpreso la profondità e l’acutezza con cui il regista, in un contesto così insolito, analizza i suoi personaggi. Benché alcuni appaiano solo brevemente, la serie riesce a tracciare ritratti psicologici intensi e significativi, lasciando un’impressione duratura in poche, ma incisive sequenze narrative. Vi è una forte tendenza all’epicità che, sebbene possa essere affascinante, a volte sfocia nell’esagerazione. Questo elemento si somma a una struttura narrativa che, per quanto avvincente in alcuni passaggi, risulta ripetitiva. La sensazione è che il messaggio centrale della serie, la riscoperta di sé e il valore della vita attraverso i giochi, avrebbe potuto essere efficacemente condensato in una singola stagione, senza perdere in intensità o significato. L’epilogo, benché scontato, ha il merito di chiudere il cerchio, fornendo allo spettatore una spiegazione abbastanza plausibile. In conclusione, non posso dire che la serie mi sia piaciuta, né di condividere il punto di vista del suo ideatore. Non credo affatto che le persone mostrino la loro vera natura in situazioni tipo quelle descritte di forte stress psicofisico infatti, in questo ambiente si trovavano a loro agio personaggi fortemente disturbati, psicopatici o sociopatici, già in partenza potenziali killer o già tali. Non vedo pertanto una vera utilità in un viaggio dell’eroe così strutturato. Alla luce di queste considerazioni, quindi, non ne consiglierei la visione, ma ammetto che ci sono serie peggiori.

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