Recensione di “Viola come il mare”

“Viola come il mare” è una fiction italiana diretta da Fabio Mollo e liberamente ispirata all’omonimo romanzo di Simona Tanzini. La serie racconta la storia di Viola, ex Miss Italia interpretata da Francesca Chillemi, che si reca a Palermo per cercare il padre. Affetta da una grave malattia neurologica, Viola possiede la singolare capacità della sinestesia, che le permette di leggere le emozioni altrui attraverso auree colorate. Trovato lavoro come giornalista, Viola collabora con un affascinante poliziotto, interpretato da Can Yaman. Una relazione sofferta poichè anche se il desiderio di entrambe le parti e forte viene ostacolato dalla diversa visione dell’amore. La serie nonostante la presenza di delitti in quasi ogni episodio è leggera poichè tutto risulta sempre patinato. Le performance degli attori, in particolare dei protagonisti, sono deboli. Can Yaman soffre l’assenza del doppiatore mentre la Chillemi a dispetto del fatto che recita male, conquista simpatia grazie al suo comportamento spontaneo, umile e buffo. Attori secondari come Maria Chiara Giannetta, che interpreta la caporedattrice del giornale, e Simona Cavallari, collega di Viola, dimostrano maggiore talento. Ridicola l’animazione data alla visione delle auree emozionali. Nonostante le impressioni contrastanti, col tempo la serie diventa piacevole e coinvolgente. La trama del romanzo originale è stata significativamente modificata per la serie TV, introducendo l’elemento della sinestesia, centrale nello sviluppo della storia e sorprendentemente assente nel libro. La serie tende a esaltare certi comportamenti puritani mentre tenta di aderire a un femminismo di facciata, con personaggi femminili in ruoli che si discostano dall’immagine tradizionale dell’angelo del focolare. Curiosamente, nessuno dei personaggi ha figli e tutti sembrano vivere esclusivamente per il lavoro, benchè idealizzato flessibile e gratificante.

Recensione Briganti

“Briganti” è una serie storica italiana ambientata nel tumultuoso periodo post-unificazione italiana. Costumi e ambientazioni sono convincenti, ma non altrettanto si può dire della narrazione. Ci sono troppi interpreti, esteticamente simili, e non vi è un approfondimento su nessuno di essi; sono figure monodimensionali senza un passato con cui è difficile empatizzare. Per la natura della trama, i protagonisti sono sempre in fuga, il che a tratti se non altro riesce a far mantenere un certo ritmo alla serie. L’unica cosa un po’ intrigante per me è la relazione tra Filomena e Lo Sparviero. Devo ammettere, inoltre, che il finale di stagione è ben congegnato. Nel complesso, poteva emergere una serie molto bella poiché il tema di fondo è interessante, ma così com’è stata organizzata risulta confusa e limitata. In un contesto che parla di ideali è doveroso indagare i motivi che spingono i personaggi ad agire in determinati modi. Mantenere quasi tutta la narrazione sul presente senza sviluppare antefatti ai quali si fanno solo vaghi accenni è un grosso errore e sminuisce la profondità della storia. Per quanto riguarda il cast, Marlon Joubert, anche se aiutato dalla sua presenza scenica, mi ha colpito nel ruolo dello Sparviero. In maniera minore e non da subito ho apprezzato anche la scelta di Matilda Lutz nel ruolo di Michelina, che grazie alla sua bellezza quasi divina era perfetta come eroina della profezia diffusa proprio al fine di favorire i briganti nella loro lotta contro i despoti del nord Italia.

Recensione Baby Reindeer

Baby Reindeer” è una miniserie di Netflix del 2024, scritta, ideata e interpretata da Richard Gadd, basata sul suo omonimo one-man show. Nonostante non sia un documentario, ma una serie drammatica, si distingue per il suo approccio originale. La serie è eccezionalmente realizzata e affronta temi delicati e poco comuni, come lo stalking e gli abusi. Queste problematiche sono spesso legate alla disparità di genere, e mentre anche in quel contesto sono questioni complesse, la protezione degli uomini è ancora lontana dall’essere accettata e perseguita adeguatamente. Gadd, che nella serie assume il nome di Donny, racconta di come il suo desiderio di successo nel mondo della comicità lo porti a fidarsi di un uomo perverso e manipolativo che, con la falsa promessa della fama, lo abusa. Per aggravare la situazione, Donny diventa vittima di Martha, una stalker seriale. Queste vicissitudini compromettono la sua capacità di mantenere relazioni basate su sentimenti e amore, evidenziando una profonda e accurata analisi della sua psiche. Il cast è molto ben selezionato; Jessica Gunning, nel ruolo di Martha, e Nava Mau, nel ruolo di Teri, mi hanno particolarmente colpito. Entrambe le attrici sono eccellenti nei loro ruoli e riescono a comunicare la profonda solitudine di chi affronta da solo malattie mentali, l’essere diverso in una società che valorizza l’apparenza, e la difficile realtà di chi si trova in un corpo che sente non suo e affronta il tabù sociale della transizione di genere. Trovo coraggioso e fondamentale ciò che Gadd ha fatto, mostrando che il mondo non è solo bianco o nero e che tutti viviamo con grandi o piccole contraddizioni interiori. La visione da parte di chi ha vissuto esperienze simili a quelle di Gadd potrebbe dare il coraggio di affrontare i propri demoni e farlo senitre meno incompreso.

Recensione Interstellar

“Interstellar” è un film del 2014 diretto da Christopher Nolan. Il film si destreggia tra il surreale e l’emotivo, trascinando lo spettatore in un viaggio che è tanto un’esplorazione dello spazio quanto dell’animo umano. Il regista fa leva su un cast eccezionalmente appassionato, che riesce a catturare e trasmettere il profondo senso di angoscia derivante dall’abbandono della famiglia e la determinazione nel portare avanti una missione potenzialmente senza ritorno. Nolan mette in luce quanto questa scelta, presentata come innaturale e astratta, si scontri con la necessità umana di affetti e punti di riferimento, fondamentali per non perdere la propria sanità mentale. Tuttavia, nonostante l’indubbia maestria tecnica e narrativa, il film non è esente da critiche. Alcuni elementi della storia possono apparire eccessivamente surreali, sfidando la sospensione dell’incredulità dello spettatore. Ma è proprio in questa sfida che “Interstellar” trova la sua forza: nella capacità di spingere oltre i limiti della realtà per esplorare cosa significhi essere umani. Il messaggio che emerge con forza è che, forse, le emozioni e i sentimenti, spesso sottovalutati se non addirittura denigrati, rappresentino in realtà la forza più potente dell’universo, sovrastando tempo, spazio e gravità. Inoltre, il film riflette sull’idea che il futuro sia inestricabilmente legato al passato, sottolineando l’importanza della prudenza nelle scelte che modelleranno le generazioni a venire. In conclusione, “Interstellar” è un film che riesce a toccare corde profonde, esplorando temi universali come il sacrificio, l’amore e la ricerca di un futuro per l’umanità. Un viaggio cinematografico che, come la stessa esplorazione dello spazio, invita a riflettere sulla nostra essenza più profonda.